Camera terrena delle due letta

Lo splendido spazio della camera terrena delle due letta (oggi detta anche Camera delle cicogne), con volta decorata a gigli e pareti ricoperte da un rigoglioso giardino popolato da uccelli, era destinato ai numerosi ospiti di casa Datini.

Il pavimento originale, tutt'oggi conservato, è in cocciopesto.

La sala è dedicata a Francesco e a sua moglie Margherita, sposi nel 1376 ad Avignone.

In mostra una lettera originale di Margherita, testimonianza della fitta corrispondenza fra i coniugi durante i lunghi periodi di assenza di Francesco, lontano da casa per seguire i propri affari. È inoltre possibile ammirare un bacile in lega di rame di arte islamica del XIV secolo.


AI TEMPI DEL DATINI

Un camino dotato di alari, forchetta, paletta e molle, provvedeva al riscaldamento dell'ambiente, mentre l'illuminazione era data da candelieri di ottone. L'arredamento era composto da due letti con cortine dipinte e predelle, un tettuccio con materasso e tappeto, un armadio, una ciscranna forata, un arcibanco, una panca, una tavola di noce con due trespoli e due deschetti: uno col gioco degli scacchi, l'altro con le tavole delle nove (filetto). Erano inoltre presenti un desco da parto dipinto, ovvero un vassoio per portare le vivande alle puerpere, lenzuoli e guanciali, alcuni dei quali con l'arme di Francesco, una tavola raffigurante la Madonna e Gesù Cristo e una tavola della Trinità.


ASPETTI ARTISTICI

Nel settembre del 1391 giunsero a Prato due pittori fiorentini, Bartolomeo di Bertozzo e il suo compagno Agnolo, a lungo identificato erratamente con Agnolo di Taddeo Gaddi, che affiancarono Niccolò Gerini nella decorazione del palazzo.

L'impresa di maggior prestigio portata a compimento dai due pittori riguarda la decorazione della cosiddetta camera delle due letta. A proposito di questa committenza i documenti recitano: “la volta della chamera dipinta a gigli gialli nel champo azuro, con li conpassi dipinti armi in tutto cho rrìgoglio [...] le mura di detta chamera, intorno dipinta ad alberi e panchali [...] ghuancie di due fìnsestre di deta chamera [... ] el palcho di detta chamera, dipinto con conpasi e rose”.

La stanza conserva ancora oggi la decorazione parietale appena descritta: i gigli della volta, analogamente allo scrittoio, hanno perduto la colorazione gialla e lo stemma Bandini risulta, anche in questo caso, contraffatto nei colori; per il resto i “pancali” - ovvero quella porzione di decorazione che finge una stoffa appesa, con la funzione di spalliera, contro cui venivano verosimilmente sistemate delle panche - e le pareti - su cui è descritto un ricco giardino con alberi da frutto e volatili - mostrano ancora oggi il loro splendore. In particolare la parte bassa della parete descrive delle formelle entro cui sono iscritti lo stemma Datini e un'altra insegna difficilmente leggibile a causa delle pesanti lacune e cadute di colore.


IL GIARDINO SULLE PARETI

Nelle case medievali, la decorazione a finto stoffato si accompagnava solitamente alla descrizione di un giardino, che, sviluppandosi nel registro superiore, si componeva di alberi, posti a distanze regolari, dalla chioma tondeggiante e carichi di trotti intorno a cui volteggiavano uccelli variopinti. A tale norma corrispondeva ovviamente una grande quantità di varianti. In Palazzo Datini i paesaggi assumono un'inusitata autonomia: gli alberi, anziché occupare una piccola porzione di parete ed essere inquadrati da arcate, si sviluppano in modo continuo sulle quattro pareti su ben tre quarti della superficie, mostrandosi nella loro interezza (dal suolo alla cima delle fronde).
Secondo alcuni studiosi la particolare interpretazione del motivo data a Prato trova forse spiegazione nel contatto che il mercante ebbe con la realtà francese e in particolare avignonese (nella Torre della Guarda Roba del Palazzo dei Papi, intorno al 1340, un gruppo di artisti italiani dipinse una serie di veri e propri paesaggi privi di qualsiasi struttura architettonica di inquadramento).

Al di là dei ragionamenti sulle eventuali fonti di Palazzo Datini, possiamo piuttosto interpretare la fortuna del motivo decorativo ad alberi come un possibile riflesso dell'importanza crescente che assunse il giardino nel Trecento, quale complemento della dimora e status symbol della nuova classe emergente, importanza ribadita anche nel caso specifico pratese dalla sostanziosa spesa sostenuta dal mercante per la realizzazione del proprio.


Testo tratto da “PALAZZO DATINI A PRATO - Una casa fatta per durare mille anni”, per info acquisti scrivere a info@museocasadatini.it